Capitale Umano, professione, impresa
di Prem Siri K.K.
Sempre più spesso sento presente nelle conversazioni, nei media … l’espressione “Capitale Umano”.
Per quello che mi riguarda personalmente sia come professionista, sia prima come dipendente di una azienda, ma ancor prima come essere umano, non è mai stato chiaro cosa significasse e a cosa si riferisse.
Quindi ho provato a studiarci un pò su reperendo delle informazioni che mi chiarissero meglio.
L’espressione Capitale Umano è molto recente.
Nasce negli anni sessanta, ma è solo negli anni novanta che gli imprenditori iniziano a comprendere che possa essere uno dei fattori più importanti per portare la propria azienda al successo.
L’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – OCSE – definisce il Capitale Umano come l’insieme di “conoscenze, abilità, competenze e altri attributi degli individui, che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico”.
La risorsa umana è un elemento attivo che racchiude in sé un patrimonio inestimabile fatto di conoscenze, abilità, competenze ed esperienze che possono essere messe al servizio dell’impresa in modo nuovo e unico.
In questo modo la risorsa umana non è un semplice costo per l’azienda, è anche una risorsa.
Investire nell’accrescere le capacità e nel far emergere le capacità di ogni singolo individuo, va ad incrementare e sostenere il successo e il profitto aziendale.
Quindi si capisce quanto sia importante oggi per le imprese iniziare ad investire sul capitale umano.
Non sono molte le imprese che nel 2021 investono o credono in questo.
Ogni risorsa umana rappresenta un patrimonio di conoscenza che si costruisce negli anni ed è fatto di passione, dedizione al lavoro, esperienza e conoscenza.
Questo insieme di cose crea quello che conosciamo come Know-how aziendale. La risorsa umana diventa insostituibile, a differenza di ciò che generalmente si pensa.
Queste figure chiave (key-men o key (wo)men 🙂 andrebbero preservate, sostenute per mantenere una continuità nel rendimento, continuità di business e non compromettere il funzionamento del lavoro.
Il fattore umano é una vera e propria forma di ricchezza, che va protetta sotto tutti i punti di vista.
Se ci connettiamo alle nuove linee guida europee sulla formazione, dobbiamo citare il lifelong learning (apprendimento permanente o apprendimento continuo). E’ un processo individuale intenzionale che mira all’acquisizione di ruoli e competenze e che comporta un cambiamento relativamente stabile nel tempo. Tale processo ha come scopo quello di modificare o sostituire un apprendimento non più adeguato rispetto ai nuovi bisogni sociali o lavorativi, in campo professionale o personale.
Con il termine “lifelong learning”, si intende l’educazione durante tutto l’arco della vita, dalla nascita alla morte, quella educazione che inizia ancor prima della scuola e si prolunga fin dopo il pensionamento.
Il lifelong learning si presenta come un elemento unitario ed unificante, che cambia la prospettiva formativa dell’individuo e della società, anche se rimane fortemente finalizzato soprattutto al lavoro, sia in termini di conoscenza necessaria per ricoprire determinate posizioni, che in termini di nuovi posti.
Il lifelong learning rimane comunque una nuova concezione della formazione.
La Formazione Continua e l’Attestazione di terza parte sono il modo migliore per investire nel capitale umano, così da determinare l’identità individuale, la riconoscibilità e l’occupabilità in questo scenario evolutivo dettato anche dalla fase post pandemica.
Serve sempre di più identificare le competenze trasversali in un mercato del lavoro che cambia a ritmi esponenziali.
L’Istat, nel nostro paese dice che il capitale umano di ciascun cittadino arriva a un valore intorno ai 342 mila euro.
Questo valore si calcola tenendo conto di:
- tipologia di lavoro svolta dall’individuo
- le sue prospettive di carriera
- le sue aspettative di vita.
Nel 2021 ancora non è distribuito in modo uniforme e cambia secondo genere, età e livelli di istruzione.
Ho lavorato in molte aziende e ho svolto diverse mansioni e nella mia esperienza non ho mai riscontrato questo tipo di visione nelle HR aziendali.
Si, era chiaro quanto fossero importanti le singole persone per mantenere ritmo e passione e dedizione verso il raggiungimento della mission aziendale e al tempo stesso le qualità del singolo non venivano valorizzate in pieno e spesso non sostenute, tanto che le risorse se ne andavano creando un vuoto che poi era difficile ripristinare in breve tempo.
A volte non si ripristinava e questo comportava un mutamento nel flusso del lavoro.
Anche per questo in AIDE, Associazione di Discipline Evolutive, abbiamo deciso di creare lo Stato Patrimoniale delle Competenze e di aiutare il singolo professionista, il dipendente e le aziende a valorizzare il proprio patrimonio specifico seguendo le linee guida Europee.
Lo Stato Patrimoniale delle Competenze è prospetto a sezioni contrapposte (tipicamente Attività e Passività se parliamo di una parte del più conosciuto e diffuso Bilancio Aziendale) che riassume sia le esperienze passate -Attività -(i.e. titoli di studio acquisiti, esperienze lavorative che hanno sviluppato talenti, ecc.), sia gli intenti e gli interessi professionali futuri -Passività – dove vedrò e potrò leggere tra le righe gli ambiti e gli impegni che l’individuo ha in previsione di esplorare con la Formazione Continua.
Questo prospetto in azienda è corredato da una Nota Integrativa che dettaglia e argomenta le scelte effettuate e quelle che hanno determinato i criteri e gli ambiti di gestione, per noi potrebbe essere un valido ausilio alla pianificazione dell’aggiornamento.
Quindi con lo Stato Patrimoniale delle Competenze si fornisce un’idea più completa, dell’identità professionale di un lavoratore, di un professionista.
Sarò felice di condividere la mia esperienza sul tema con voi.
Scrivete qui nei commenti le vostre domande o condivisioni.